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Romolo e Remo – La Storia

Romolo e Remo (o, secondo alcuni autori antichi, Romo) sono, nella tradizione mitologica romana, due fratelli gemelli, uno dei quali, Romolo, fu il fondatore eponimo della città di Roma e suo primo re. La data di fondazione è indicata per tradizione al 21 aprile 753 a.C. (detto anche Natale di Roma e giorno delle Palilie). Secondo la leggenda, erano figli di Rea Silvia (Rhea Silvia), discendente di Enea, e di Marte.

La leggenda nelle fonti antiche

Esistono innumerevoli versioni della leggenda di Romolo e Remo e della fondazione di Roma, tutte tese alla glorificazione degli antenati dei Romani e della gens Iulia. Ci sono stratificazioni tra diverse leggende, dettagli diversi e “rami laterali”, di volta in volta tesi a togliere o ad aggiungere onore e diritti ai Romani. La leggenda della fondazione di Roma è riportata dallo storico romano Tito Livio nel libro I della sua Storia di Roma. Di essa riferiscono anche Dionigi di Alicarnasso, Plutarco, Varrone.

Questo racconto è da sempre stato ritenuto una favola, risalente al periodo fra il IV e il III secolo a.C.[senza fonte]. Per molti critici la città di Roma si era addirittura formata soltanto centocinquanta anni più tardi, all’epoca dei re Tarquini (fine del VII secolo a.C.). Tuttavia, sul colle del Palatino, durante alcuni lavori esplorativi, nel 2007 sarebbe stato ritrovato il lupercale: questo santuario, dove i Romani veneravano il Dio Luperco (Faunus lupercus), è collegato al racconto dell’allattamento di Romolo e Remo da parte della leggendaria lupa.

Romolo e Remo

Numitore, essendo più vecchio di Amulio, aveva ricevuto in eredità l’antico regno della dinastia Silvia. Ma il fratello usurpò il trono, arrivando anche a commettere delitti:

«Ma la violenza prevalse sulla volontà del padre e sul rispetto dovuto all’età maggiore: Amulio caccia il fratello e s’impossessa del regno. Aggiunge poi delitto a delitto: spegne la discendenza maschile del fratello […]»

(Tito LivioAb Urbe condita libri, I, 3.)

Costrinse, infine, l’unica figlia femmina del fratello, Rea Silvia, a diventare vestale e a fare quindi voto di castità, togliendole la speranza di diventare madre.[1][6][11] Tuttavia il dio Marte s’invaghì della fanciulla e le fece violenza in un bosco sacro, dove era andata ad attingere acqua. Da quel rapporto nacquero i gemelli Romolo e Remo.[12][13] Al secondo di questi due neonati fu dato lo stesso nome del condottiero rutulo decapitato nel sonno da Niso durante la guerra fra troiani e italici:

«e lo scudiero di Remo uccide, e l’auriga, coltolo proprio / tra i cavalli, e col ferro recide i colli penzoloni; / indi taglia la testa al loro signore e ne abbandona il tronco / che sussulta nel sangue […] /»

((Virgilio, Eneide, libro IX, vv.330-33, traduzione in versi di Riccardo Scarcia))

Per ordine dello zio, Rea Silvia fu seppellita viva, come prevedeva la legge per le vestali che non rispettavano il voto di castità. Il fiume Aniene, dove il corpo fu gettato, ne ebbe pietà e la resuscitò [senza fonte]. Il re Amulio, in seguito, affidò i bambini a due schiavi con l’ordine di metterli in una cesta, portarli nella parte più alta del fiume, e affidarli alla corrente. Per le piogge recenti il fiume era straripato e aveva allagato i campi nella zona del Velabro, quindi uno dei due uomini pensò di lasciarli nel punto dove erano arrivati. L’altro accettò la proposta e spiegò ai due bambini cosa stava per succeder loro; i due piccoli, allora, emisero un vagito come se avessero capito e vennero affidati alla corrente. La cesta nella quale i gemelli erano stati adagiati si arenò in una pozza d’acqua sulla riva, presso la palude del Velabro tra Palatino e Campidoglio in un luogo chiamato Cermalus. Quando le acque del fiume si ritirarono, la cesta rimase all’asciutto ai piedi di un albero di fico (il ficus ruminalis). Altre fonti fanno coincidere il punto dove si fermò la cesta con i gemelli con una grotta collocata alla base del Palatino, detta “Lupercale” perché sacra a Marte e a Fauno Luperco.

Una lupa, scesa dai monti al fiume per abbeverarsi, fu attirata dai vagiti dei due bambini, li raggiunse e si mise ad allattarli. Vuole la tradizione che anche un picchio portò loro del cibo (entrambi gli animali sono sacri ad Ares).In seguito furono trovati da un pastore di nome Faustolo (porcaro di Amulio), il quale insieme alla moglie Acca Larenzia decide di crescerli come suoi figli. Esiste una supposizione sulla figura di Acca Larenzia. Alcune interpretazioni la identificano con la “lupa”, parola che in latino significa anche prostituta (da cui, “lupanare”, luogo dove si svolge la prostituzione).I Greci, anche se vinti e conquistati dai Romani, considerarono questi sempre dei rozzi barbari non all’altezza della loro raffinata civiltà e per loro la verità era che Romolo e Remo erano stati non raccolti ma figli di una prostituta, la quale, appena nati, li aveva esposti e abbandonati, e a raccoglierli e ad allevarli era stata non la leggendaria lupa ma una donna comune; tanto leggiamo infatti per esempio nella Suida, dizionario in lingua greca scritto nel X secolo d.C.

In ogni caso, incertezza della nascita a parte, i bambini crebbero inizialmente nella capanna di Faustolo e Larenzia, situata sulla sommità del Palatino, nella zona del colle chiamata “Germalo” (o “Cermalo”). Plutarco racconta infatti: «Si dice che i bambini, condotti a Gabi, imparassero a leggere e scrivere e tutte le altre cose quante è necessario che apprendano i figli di nobile famiglia. […] Romolo sembrava possedere maggiore senno e avere capacità di governo, dando a vedere di sé coi vicini, nelle questioni di caccia e di pascoli, una profonda consapevolezza di essere nato più per comandare che per obbedire.»

(Plutarco, Vita di Romolo, 6, 1-3.)

«Fortificato così il corpo e l’animo non solo respingevano le fiere, ma assalivano anche i predoni carichi di bottino e spartivano la preda fra i pastori, e seguiti da una schiera ognora crescente di giovani con essi dividevano fatiche e giochi.» (Livio, Ab Urbe condita libri, I, 4.)

Si racconta che i due fratelli, un giorno furono assaliti dai banditi, i quali volevano vendicarsi dei bottini più volte perduti. Romolo si difese energicamente, ma Remo fu catturato e condotto di fronte al re Amulio, con l’accusa di furto e di aver compiuto numerose scorribande nelle terre di Numitore. Per questi motivi fu consegnato a quest’ultimo.

«Per caso anche a Numitore, quando tenendo Remo in prigione aveva appreso che erano due gemelli, dopo aver riflettuto sull’età e sull’indole stessa dei giovani, poco conveniente a gente di condizione servile, si era affacciato nell’animo il pensiero dei nipoti, e indagando a fondo era giunto allo stesso risultato di Faustolo, alla certezza quasi assoluta che quello fosse Remo.» (Livio, Ab Urbe condita libri, I, 5.)

Nel frattempo, Faustolo aveva raccontato a Romolo delle loro origini e del sangue reale. Romolo radunò, pertanto, un gruppo consistente di compagni e si diresse da Amulio, raggiunto da Remo, che era stato liberato dallo stesso Numitore. Amulio venne ucciso e Numitore ritornò re di Alba Longa.

Pubblicato il 25 agosto 2023

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